Mancanza di fiato, tosse, fatica nel respirare e un affaticamento generale sono sintomi che non vanno mai trascurati perché possono essere spia di diversi disturbi dell’apparato respiratorio, più o meno gravi, come la fibrosi polmonare

17 Novembre 2024

Mancanza di fiato, tosse, fatica nel respirare e un affaticamento generale sono sintomi che non vanno mai trascurati perché possono essere spia di diversi disturbi dell’apparato respiratorio, più o meno gravi, come la fibrosi e le interstiziopatie polmonari. Campanelli d’allarme importanti anche per chi soffre di artrite reumatoide e altre patologie reumatiche, che in un paziente su quattro possono comportare complicanze ai polmoni, ma molti pazienti lo ignorano. Per favorire la consapevolezza dei pazienti, dei loro familiari e della popolazione generale è stato organizzato l’evento a Il Tempo della Salute con protagonisti Antonella Celano, presidente Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APMARR, Valentina Di Mattei, professore Associato e Specialista in Psicologia Clinica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Sergio Harari, Professore Associato di Medicina Interna, Università degli Studi e Ospedale San Giuseppe MultiMedica a Milano.

In Italia sono più di 5 milioni, quasi il 10% della popolazione nazionale, le persone affette da una delle oltre 150 patologie reumatologiche che rappresentano la seconda principale causa di disabilità in Europa dopo le malattie cardiovascolari. «Forse non tutti sanno che spesso un organo bersaglio di queste malattie è il polmone che è una struttura fortemente connotata immunologicamente» ha esordito Harari. Come vivono i pazienti con malattie reumatologiche? APMARR ha condotto un’indagine che è stata presentata recentemente: «La diagnosi di una patologia reumatologica ha un impatto diretto e peggiorativo sulla qualità della vita delle persone che ne sono colpite – ha illustrato Celano -. Sono più di 7 su 10 infatti le persone che sono state costrette a dover cambiare il proprio progetto di vita in seguito alla diagnosi, con punte che superano l’80% tra coloro che hanno ricevuto la diagnosi prima del 2000, anno spartiacque per le cure in reumatologia grazie allo sviluppo e all’arrivo, tra le opzioni terapeutiche, dei farmaci biologici».

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giovane donna che respira profondamente
I principali ambiti in cui si manifestano questi cambiamenti riguardano il lavoro (71,7%), dove più di 6 persone su 10 (60,8%) con una patologia reumatologica sono state costrette ad abbandonare e/o a ridurre l’attività lavorativa, seguono poi lo sport (38,9%) e la sfera delle relazioni affettive con il partner (32,8%). E, ovviamente, tutto questo ha un impatto psicologico. «I sentimenti più diffusi nelle persone di fronte alla scoperta della malattia reumatologica sono tristezza (49,2%), paura (47,8%), smarrimento (44,9%) e ansia (43%) – ha raccontato la presidente APMARR -. Oltre alla rabbia (39,8%) provata anche verso sé stessi, sentendosi quasi responsabili per non essersi presi cura a sufficienza della propria persona e al senso di sollievo provato per aver dato finalmente un nome reale alla malattia così da non sentirsi più considerati, anche dai famigliari, come dei malati immaginaria».
 
Concretamente, cosa può aiutare a gestire queste emozioni? «La diagnosi rappresenta un momento di grande impatto psicologico e di trasformazione per il paziente, non è solo un’etichetta, ma un inquadramento che consente al paziente di essere visto e riconosciuto nel proprio status di malato – ha sottolineato Di Mattei. L’aiuto concreto dopo una diagnosi passa attraverso il supporto psicologico e psicoeducativo per gestire le emozioni e favorire un senso di controllo, insieme a consigli pratici per affrontare le difficoltà quotidiane. Coinvolgere i familiari e offrire accesso a un team multidisciplinare aiuta il paziente a sentirsi sostenuto in modo completo e personalizzato».

Circa 300mila italiani, in 7 casi su 10 donne, soffrono di artrite reumatoide e ogni anno si registrano 5mila nuovi casi. La malattia può manifestarsi a qualsiasi età, più comunemente tra i 40 e i 70 anni, sebbene il picco di comparsa dei primi sintomi avvenga tra i 35 e i 45 anni. «L’artrite reumatoide è una malattia reumatica infiammatoria cronica, potenzialmente invalidante per il carattere aggressivo e distruttivo associato a questo tipo di infiammazione, ma è anche una malattia sistemica capace di coinvolgere differenti distretti extra-articolari tra cui l’apparato respiratorio – ha aggiunto Harari -. Arrivare per tempo alla diagnosi ci consente di intervenire con terapie che aiutano a tenere la patologia sotto controllo e a evitare che la situazione peggiori. Oggi possiamo intervenite con farmaci antinfiammatori come il cortisone e immunosoppressori come methotrexate, micofenolato, azatioprina. Per i pazienti che sviluppano forme fibrotiche polmonari, invece, al momento abbiamo a disposizione solo un farmaco, nintedanib (un inibitore delle tirosin-chinasi di derivazione dalla ricerca oncologica) che si è dimostrato efficace nel rallentare la progressione di malattia e da anni viene utilizzato con successo nella fibrosi polmonare idiopatica».

Purtroppo troppo spesso i segnali di allarme, i primi sintomi, vengono sottovalutati o non ben approfonditi: un dolore persistente alle articolazioni (colpisce spesso le giunture di mani e piedi), talvolta accompagnato da gonfiore, che si fa sentire soprattutto di notte e al mattino, per poi attenuarsi nel corso della giornata. Sono questi i segni da non trascurare. Certo la diagnosi è abbastanza complessa e il problema della mancata individuazione precoce dell’interessamento polmonare è legato ai sintomi che sono molto generici: fiato corto inizialmente da sforzo (come facendo le scale) per poi peggiorare, tosse secca, astenia, perdita di peso. «Proprio per questo tutti i pazienti dovrebbero essere seguiti da un team multidisciplinare in centri specializzati – ha chiarito Celano -. La “squadra” dovrebbe prevedere la partecipazione di pneumologo, reumatologo, internista, radiologo e anche altri professionisti, a seconda delle necessità, senza mai dimenticare uno psicologo. L’approccio multidisciplinare, soprattutto l’integrazione stretta tra medico e psicologo, è essenziale per affrontare sia i sintomi fisici che le reazioni emotive».


 
Respirare bene è fondamentale: «Il respiro e il cervello si influenzano a vicenda – ha concluso Di Mattei -: quando siamo spaventati o sotto stress, il respiro accelera per prepararci a reagire rapidamente. Allo stesso modo, respirare lentamente e profondamente può aiutare a calmarsi. Durante l’inspirazione, alcune aree del cervello legate alle emozioni e alla memoria, come l’amigdala e l’ippocampo, diventano più attive, facilitando il riconoscimento di situazioni di pericolo e rendendo più nitidi i ricordi. Respirare consapevolmente può, dunque, migliorare le nostre prestazioni e favorire il benessere mentale».