Il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di maggiori risorse. I vincoli di bilancio restringono però i margini di espansione della spesa.
C’è ovviamente spazio per risparmiare rafforzando l’efficienza, soprattutto nei rapporti tra ospedale e medicina territoriale. Ma l’invecchiamento demografico – in Italia più marcato e più rapido che altrove – genera una richiesta crescente di servizi che necessita di un incremento di risorse davvero imponente. Appare dunque urgente aprire un ampio dibattito su come affrontare il dilemma del finanziamento.
Il SSN è ispirato al principio dell’universalismo: copertura garantita a tutta la popolazione. La riforma del 1978 aggiunse due aspirazioni: prestazioni gratuite all’accesso, con oneri a carico della fiscalità generale. Obiettivi nobili, ma che nella percezione dei cittadini e di molti politici (soprattutto se all’opposizione) hanno finito per offuscare il nesso fra costi e benefici. Alimentano anche l’illusione che i secondi (sotto forma di prestazioni gratuite) potessero/dovessero essere considerate come “variabili indipendenti". L’antipatia per i ticket riflette in larga parte questa illusione.
La sanità e il dilemma sui costi – Come finanziarla?
14 Dicembre 2024
Come si esce dalla morsa fra l’incudine (vincoli di bilancio) e il martello della domanda crescente? Più efficienza, certo. Ma non può bastare.
Allora più tasse? Tagli di spesa in altri ambiti? Limiti alle prestazioni? Aumento delle compartecipazioni?
Allora più tasse? Tagli di spesa in altri ambiti? Limiti alle prestazioni? Aumento delle compartecipazioni?
Iniziamo dal fondo. Oggi le famiglie italiane già spendono una cifra rilevante per le spese sanitarie “out of pocket”. In termini aggregati, il gettito delle compartecipazioni non è elevato sul piano comparato. E in molti paesi (fra cui, da decenni, la Svezia) il ticket si paga anche per l’ospedale. Il problema italiano è duplice. Così come è oggi disegnato, il sistema delle esenzioni genera oneri importanti anche per le fasce di reddito medio, soprattutto in certe situazioni di bisogno. Inoltre, la quota di spesa privata intermediata dalle mutue volontarie è bassa rispetto agli altri paesi: tutta la spesa “out of pocket” resta a carico dell’utente.
Mutuando dall’esperienza di altri paesi OCSE, si può immaginare una strategia volta a rendere più efficiente, più equo e più consistete il contributo diretto delle famiglie al finanziamento delle prestazioni che esse consumano. Soprattutto se questo fosse compensato da rimborsi mutualistici o assicurativi. Teniamo poi presente che gran parte della spesa delle famiglie e della spesa sanitaria si concentra negli ultimi anni di vita, soprattutto in caso di non autosufficienza.
L’introduzione di coperture mutualistiche per questo rischio, che partano dalla giovane età come già avviene in altri paesi, sarebbe un’altra ipotesi da considerare, insieme a nuove imposte di scopo (ad esempio sulle sigarette) da destinare a ricerca e prevenzione/screening.
Veniamo alla selezione delle prestazioni. I livelli essenziali di assistenza (LEA) già consentono di effettuare ritocchi basati su criteri di costo-efficacia. In parte ciò è già stato fatto, ma esistono ampie aree di miglioramento, che andrebbero definite contestualmente alla riforma del sistema di esenzioni. La revisione del Prontuario farmaceutico è a sua volta vecchia di decenni..
La terza opzione è quella di tagliare la spesa in altri ambiti e stornare i risparmi alla sanità. L’unico settore con una capienza sufficiente sarebbe la previdenza. Dopo le tante e incisive riforme degli ultimi anni è già tanto accontentarsi che la spesa pensionistica non cresca più dello stretto necessario.
Resta l’ipotesi di più imposte. I contribuenti onesti ovviamente protesterebbero. Ma attenzione: come è noto, il nostro sistema tributario è sperequato e caratterizzato da alta evasione. L’attuale finanziamento del SSN riproduce tutti i limiti e le iniquità del nostro fisco, soprattutto l’enorme disparità fra contribuenti fedeli e evasori. Se ben designate e monitorate, le compartecipazioni potrebbero non solo portare risorse aggiuntive, ma anche perequare il rapporto fra consumi sanitari e capacità contributive. Un’altra strada potrebbe essere l’introduzione di un “contributo sociale (o sanitario) generalizzato” da versare una volta l’anno, come in Francia. Per contrastarne l’evasione, si potrebbe accertarne il versamento effettivo (salvo esenzioni) con un qualche “bollino” incorporato nella tessera sanitaria.
Il dibattito da aprire, come collettività, non tradisce il principio dell’universalismo nella sua formulazione generale (copertura universale basata sulla residenza). Si tratta di discutere su una questione ormai ineludibile: come assicurare un più consistente e più equo finanziamento della sanità pubblica, in linea con le esigenze di una società che invecchia, che aspira a fruire dei migliori standard di qualità, ma che è anche gravata da un enorme debito pubblico.
Mutuando dall’esperienza di altri paesi OCSE, si può immaginare una strategia volta a rendere più efficiente, più equo e più consistete il contributo diretto delle famiglie al finanziamento delle prestazioni che esse consumano. Soprattutto se questo fosse compensato da rimborsi mutualistici o assicurativi. Teniamo poi presente che gran parte della spesa delle famiglie e della spesa sanitaria si concentra negli ultimi anni di vita, soprattutto in caso di non autosufficienza.
L’introduzione di coperture mutualistiche per questo rischio, che partano dalla giovane età come già avviene in altri paesi, sarebbe un’altra ipotesi da considerare, insieme a nuove imposte di scopo (ad esempio sulle sigarette) da destinare a ricerca e prevenzione/screening.
Veniamo alla selezione delle prestazioni. I livelli essenziali di assistenza (LEA) già consentono di effettuare ritocchi basati su criteri di costo-efficacia. In parte ciò è già stato fatto, ma esistono ampie aree di miglioramento, che andrebbero definite contestualmente alla riforma del sistema di esenzioni. La revisione del Prontuario farmaceutico è a sua volta vecchia di decenni..
La terza opzione è quella di tagliare la spesa in altri ambiti e stornare i risparmi alla sanità. L’unico settore con una capienza sufficiente sarebbe la previdenza. Dopo le tante e incisive riforme degli ultimi anni è già tanto accontentarsi che la spesa pensionistica non cresca più dello stretto necessario.
Resta l’ipotesi di più imposte. I contribuenti onesti ovviamente protesterebbero. Ma attenzione: come è noto, il nostro sistema tributario è sperequato e caratterizzato da alta evasione. L’attuale finanziamento del SSN riproduce tutti i limiti e le iniquità del nostro fisco, soprattutto l’enorme disparità fra contribuenti fedeli e evasori. Se ben designate e monitorate, le compartecipazioni potrebbero non solo portare risorse aggiuntive, ma anche perequare il rapporto fra consumi sanitari e capacità contributive. Un’altra strada potrebbe essere l’introduzione di un “contributo sociale (o sanitario) generalizzato” da versare una volta l’anno, come in Francia. Per contrastarne l’evasione, si potrebbe accertarne il versamento effettivo (salvo esenzioni) con un qualche “bollino” incorporato nella tessera sanitaria.
Il dibattito da aprire, come collettività, non tradisce il principio dell’universalismo nella sua formulazione generale (copertura universale basata sulla residenza). Si tratta di discutere su una questione ormai ineludibile: come assicurare un più consistente e più equo finanziamento della sanità pubblica, in linea con le esigenze di una società che invecchia, che aspira a fruire dei migliori standard di qualità, ma che è anche gravata da un enorme debito pubblico.