Charles Aznavour ha oltre 90 anni ma con la sua straordinaria e inconfondibile voce riesce ancora a incantare il pubblico dell’Arena di Verona, e Dario Fo, solo pochi mesi prima di morire per una grave malattia polmonare, teneva lunghi monologhi teatrali, nel suo amato grammelot, affascinando platee di ogni età. Ma purtroppo, quasi sempre, la vecchiaia non è così, basta una visita a uno qualsiasi dei nostri reparti di medicina o geriatria per rendersene conto. La scienza e lo sviluppo tecnologico hanno fatto passi da gigante in questi anni, perfino noi medici restiamo stupefatti quando, ad esempio, vediamo sostituire una valvola cardiaca senza aprire lo sterno, senza tagli chirurgici, dimettendo il paziente il giorno dopo. Tutti questi progressi ci fanno però dimenticare che l’equilibrio nel quale vivono i grandi anziani è fragile, basta poco a romperlo per sempre: una polmonite, una piccola infezione e quelle che erano persone attive e autosufficienti fino al giorno prima, improvvisamente, si sgretolano sotto il peso degli anni che si manifestano con tutta la loro evidenza. Le famiglie si trovano a affrontare traumi dolorosi e difficili, i medici cercano di aiutare, lenire, capire ma non sono onnipotenti e non possono farsi carico di tutto, la vecchiaia, la malattia e la morte fanno parte della quotidianità, anche se la società moderna le ha rimosse. Siamo passati da una cultura medica del fare tutto senza dire nulla, al dire tutto, talvolta anche troppo, a parenti già confusi dal dolore, non facendo nulla per la paura di prevaricare o per il timore di assumersi responsabilità che possono anche volere dire cause e processi. E’ il frutto di anni di medicina difensiva e dell’impoverimento del rapporto di fiducia medico-paziente. Sapere quando fermarsi è una delle cose più difficili da valutare in medicina, ogni caso è diverso dall’altro, ogni storia è una vicenda a sé stante, ma il rischio è l’accanimento, e anche questo è terribile. Ha ragione l’arcivescovo Paglia, nella sua recente intervista al Corriere: è urgente promuovere una cultura dell’accompagnamento.
Spetta ai medici e agli infermieri per primi farsene carico ma poi a tutto il Paese, perché il problema riguarda tutti, basti pensare che in Italia gli ultrasettantacinquenni sono quasi 7 milioni, oltre l’11% della popolazione, e, per fortuna, il loro numero è destinato a crescere. Lo Stato deve fare la sua parte perché sia possibile fermarsi quando è venuto il momento, per consentire a tutti di morire con dignità.
Come ha scritto nel suo recente editoriale su queste pagine Aldo Cazzullo, sono temi difficili e dolorosi, ma non è rimuovendoli che si risolveranno, e noi che ogni giorno li leggiamo negli occhi dei nostri pazienti vorremmo condividerli e discuterne senza imbarazzi e paure fuori tempo massimo.
[Corriere della Sera - Cronache, pag 21 di Mercoledì 2 Agosto 2017]