Fra pochi mesi cambierà il modo di fare ricerca in medicina, una rivoluzione che interesserà anche i pazienti. Finora i dati di uno studio clinico che riportavano le caratteristiche dei pazienti, i loro dati di laboratorio e radiologici, come avevano risposto alla cura sperimentata se si trattava di un nuovo farmaco, erano di esclusiva proprietà di chi lo aveva sviluppato, ma da domani non sarà più così.
Dopo un ampio dibattito che ha interessato tutto il mondo scientifico, si è deciso di permettere l’accesso ai dati degli studi anche a altri ricercatori che volessero condurre ulteriori analisi, approfondirli per altri aspetti o in modo diverso. Questo non cambierà il contributo che un paziente dà alla ricerca scientifica accettando di partecipare a uno studio, non gli si chiederà null’altro, ma i risultati del suo sforzo saranno ottimizzati perché dai suoi dati si otterrà il massimo possibile. E’ da una forma di rispetto e valorizzazione del generoso atto di chi accetta di partecipare a uno studio sperimentale che è partita l’idea del “data sharing” Il sistema che dovrà garantire trasparenza, accesso ai file, riconoscimento ai ricercatori che con grande sforzo hanno per primi raccolto i dati, è ancora in via di ultima definizione ma la macchina organizzativa, guidata dal New England Journal of Medicine, è ormai partita: chiunque vorrà pubblicare su una rivista scientifica un lavoro dovrà anche depositare i dati del suo studio su un apposito cloud. La strada da percorrere nasconde alcune insidie, ad esempio potremmo avere ricercatori che si dedicano solo a “parassitare” lavori altrui, e molti altri problemi necessiteranno tempo per essere risolti. Ma una cosa è certa, sarà una rivoluzione epocale e, dalle rivoluzioni, non si torna indietro.
[Fonte: La Lettura _ inserto Corriere della Sera - pag 7, Domenica 14 Agosto 2016]