La verità è questa: oggi nessuno vuole accettare fino in fondo che per un tempo indefinito dovremo convivere con questo virus. Almeno fino a quando non ci sarà un vaccino. La parola d’ordine è guadagnare il più possibile posizioni contro il Covid. E la prima indicazione è che le regole vanno accettate.
Sono ormai mesi che le nostre vite sono appese a quelle girandole di numeri che sono i bollettini quotidiani del contagio. Diventati nella fase più drammatica della pandemia tanto puntuali quanto funerei appuntamenti, oggi si sono trasformati in cabale da interpretare per scrutare il nostro futuro. Potranno ripartire le scuole? Riusciremo a spostarci in sicurezza? Che sarà del nostro lavoro? Tutto sembra dipendere dall’altalena di misteriosi indicatori improvvisamente divenuti magici rivelatori dell’andamento del mondo, come l’ormai famoso indice R, il numero dei decessi, quello dei positivi, però corretto per il numero di tamponi, quello dei ricoverati, e così via con numeri e numeri in rapida quanto spesso contradditoria successione. Un giorno uno va su, l’altro va giù e il giorno dopo viceversa, poi per qualche momento sembrano andare tutti nella stessa direzione ma ecco arrivare il tonfo o il picco che sembrano ribaltare tutto quello di cui finalmente ci eravamo convinti. Quindi a cosa credere? Nel suo pungente quanto provocatorio pamphlet “Il virus che rende folli” Bernard Henry Lèvy cita uno dei grandi padri della medicina, Rudolf Virchow: “Una epidemia è un fenomeno sociale che implica alcuni aspetti medici”, una frase che aiuta a capire come il futuro non dipenda solo dalle opinioni degli esperti, peraltro non sempre concordi, ma da un insieme di complessità. Per questo la decisione di chiudere il Paese in un duro lockdown fu giustamente presa dalla politica che si assunse la responsabilità finale di fronte al dilagare senza confini di ricoveri e morti e al rischio di collasso (al quale in Lombardia andammo molto vicini) degli ospedali. Fu una decisione saggia e se oggi la situazione del nostro Paese è migliore a quella di molti altri si deve anche a quella netta presa di posizione, oltre al civismo e al senso di responsabilità che la nazione tutta ebbe. La verità che oggi nessuno vuole accettare fino in fondo è che per un tempo indefinito dovremo convivere con questo maledetto virus, malgrado gli annunci sensazionalistici di nuovi vaccini, così è e sarà per molti mesi a venire. Dobbiamo continuare a nascondere i nostri sorrisi dietro alle mascherine, un tempo appannaggio solo dei chirurghi e ora così diffuse da averne di ogni guisa, colore e forma, così come dobbiamo rassegnarci alle misure di distanziamento sociale e alle limitazioni dei nostri movimenti. Questo, non altro, ci permetterà di ridurre i contagi e circoscrivere i focolai epidemici che, purtroppo, ci saranno. La parola d’ordine è guadagnare il più possibile posizioni contro il virus, avere meno casi, tracciare tutto e tutti (anche se al nouveau philosophe francese e a molti altri sembra una irragionevole limitazione della libertà), prepararsi all’autunno che porterà con sé l’influenza con tutti i problemi che ne conseguiranno. Se vogliamo che le attività produttive e la nostra vita sociale, scuole comprese, riprendano con una certa regolarità, dobbiamo accettare queste regole di convivenza forzosa, inutile sperare in bollettini dalle cabale improvvisamente e magicamente risolutive. Meglio essere realisti.
[Parte in prima di spalla e prosegue taglio basso pag. 28 - Corriere della Sera]
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