La pandemia che ha cambiato i destini del mondo ci ha fatto capire quanto ancor oggi le nostre vite possano essere messe in forse da minacce di salute globale. Da una città della Cina fino a ieri sconosciuta ai più, l’infezione si è rapidamente trasmessa senza controllo in tutto il mondo con colpevoli ritardi di allarme e di reazione.
Abbiamo assistito inermi e storditi alla rapidissima diffusione dei contagi da Alzano Lombardo e Nembro a tutta l’Italia e al viaggio delle varianti dall’Inghilterra all’India in tutta Europa.
Ora sappiamo che più di un terzo della popolazione mondiale ha finora avuto un accesso scarsissimo ai vaccini e che a lungo i paesi in via di sviluppo e con economie povere rimarranno serbatoi minacciosi della pandemia, con gravi pericoli e gravissime disuguaglianze di salute. Abbiamo anche assistito a come una regia nazionale ben condotta abbia portato a una straordinaria accelerazione della campagna vaccinale nel nostro Paese.
Oggi si discute se l’Unione Europea non debba centralizzare non solo la gestione dei vaccini ma anche l’acquisto e la distribuzione dei farmaci anti COVID 19 che potrebbero rendersi disponibili in un prossimo futuro e per gli anticorpi monoclonali già in uso. Se una lezione ci viene da questa tragica esperienza è che la salute pubblica è ormai una entità globale che necessita sempre più di visioni ampie, nazionali e sovranazionali.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha molte colpe nei ritardi e nei messaggi confusi con i quali ha gestito la pandemia, soprattutto nelle prime fasi. L’OMS è un’istituzione che risente di malsane influenze politiche, come ha sottolineato su queste pagine Paolo Mieli, e il cui ruolo dovrebbe invece essere fondamentale per la sanità mondiale. Criticità che erano già emerse in passato, ad esempio in occasione della pandemia di H1N1 cosiddetta «influenza suina» nel 2009-10, senza che poi si intervenisse efficacemente. Ma è anche mancato un vero coordinamento europeo sulle regole di transito tra paesi, sono mancate norme condivise generali di sorveglianza dell’infezione da monitorare in un clima collaborativo e di trasparenza fra Stato e Stato.
Anche a livello italiano si è capito che alcune emergenze sanitarie non possono essere governate solo con un approccio localistico e regionalistico ma devono avere un coordinamento nazionale, il che non significa svuotare di ruolo le Regioni in ambito sanitario, ma rendersi conto che alcuni problemi comuni, come il virus, non possono fermarsi a un’analisi dettata dai confini regionali e dai diversi sistemi di governo della sanità che contraddistinguono il nostro Paese. Le politiche di salute pubblica richiedono un approccio che trascenda da particolarismi e dia un ruolo ben diverso anche alle strutture sovranazionali, quando necessario, come per l’OMS, rifondandole. «Impossibile affrontare problemi globali con soluzioni nazionali» ha detto il premier Mario Draghi al Global Solution Summit, questo è il momento giusto per cambiare.
Corriere della Sera - Sergio Harari