L’Italia da sempre investe poco in ricerca, tutte le risorse destinate a questo settore ammontano, infatti, solo a 1,3% del nostro PIL. Complessivamente si tratta di circa 22 miliardi di euro, di cui solo il 13% è destinato alla ricerca biomedica e di questi solo il 39% deriva da finanziamenti pubblici. Altri paesi occidentali ad alto reddito adottano politiche ben diverse, basti dire che la media Europea complessiva si colloca attorno al 2%. La Germania investe quasi 3 volte tanto dell’Italia, e anche la Francia è ben al di sopra dei nostri standard.
Paradigmatica in questo senso è la vicenda dei bandi AIFA per la ricerca indipendente, che quest’anno ammonteranno in tutto solo a sei milioni cinquecentomila euro: briciole, polvere negli occhi per non dire che non si fa nulla.
La ricerca indipendente è quella effettuata senza nessun tipo di condizionamento economico, e quindi non dal mondo dell’industria, e nel nostro Paese si riassume in poche tipologie di bandi pubblici: i progetti di rilevante interesse nazionale promossi dal MIUR (chiamati PRIN), la Ricerca finalizzata finanziata dal Ministero della Salute e i bandi dell’Agenzia Italiana del Farmaco, oltre a bandi regionali in alcune realtà come la Lombardia. Quelli sviluppati da AIFA hanno però delle caratteristiche di particolare interesse perché hanno come finalità la valutazione dell’uso di farmaci per indicazioni e utilizzi che non verrebbero mai studiati dall’industria farmaceutica e che possono avere ricadute positive sul nostro Servizio Sanitario. Averli promossi è uno dei fiori all’occhiello italiani, ma all’intuizione non sono seguiti adeguati sostegni economici. I bandi AIFA sono stati emessi a singhiozzo negli anni, con salti e interruzioni, ma soprattutto con sempre meno fondi. Nel 2017 su 368 progetti ne erano stati finanziati solo 12, per un totale di 7 milioni di euro, con una percentuale di rigetto superiore al 97%, mentre quest’anno i soldi a disposizione saranno ancora meno. Nel 2016, invece, erano stati erogati 31.294.724 euro per 40 studi su un totale di 343 protocolli valutati, sempre pochissimo ma comunque 5 volte più di quanto destinato quest’anno. Quindi sempre meno risorse, tempo buttato via dai ricercatori per proporre studi che non verranno mai approvati (per stendere un progetto ci vogliono mesi) e, infine, scarso coordinamento tra le diverse fonti istituzionali di sovvenzionamento, non esiste infatti in Italia un ente che promuova e diriga lo sviluppo della ricerca indipendente.
Se il futuro del nostro Paese è strettamente legato alla ricerca allora l’orizzonte è sempre più fosco e per favore poi non piangiamo lacrime di coccodrillo sulla fuga dei cervelli.