Ieri era la giornata mondiale delle malattie rare, una iniziativa che da anni contribuisce a migliorare la sensibilità verso un universo di malati resi deboli non solo dalle loro sofferenze ma anche dal vivere dispersi in tanti piccolissimi gruppi. Una malattia rara interessa un numero esiguo di malati, un'altra qualche decina, le più importanti alcune centinaia, difficile trovare ascolto quando si è così pochi.
Le cose negli ultimi anni sono, tuttavia, molto cambiate, la sensibilità politica è cresciuta significativamente, così come l'attenzione della ricerca è andata sempre più aumentando e anche gli investimenti delle aziende farmaceutiche si sono sviluppati moltissimo. Ogni paese ha fatto la sua parte, e anche l'Italia non è stata da meno, mentre l'Europa ha trovato fondi e risorse dedicate.
Nel nostro Paese tuttavia un grave problema si trascina da anni irrisolto: l'elenco nazionale delle malattie rare è inadeguato e presenta gravi lacune. Un vizio di nascita (interi capitoli di malattie, come quelle polmonari, erano state dimenticate), che si è protratto sino ai giorni nostri, ulteriormente amplificato dalla scoperta nel corso degli anni di nuove patologie. La prossima approvazione dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) può essere finalmente l'occasione per rimediare a anni di ingiustizie, sanando un vulnus che discrimina i pazienti: le malattie non comprese nell'elenco, infatti, non sono esenti dal ticket né riconosciute dal SSN. In passato tentativi di aggiornamento di questa lista furono attuati dall'ex ministra della Salute Turco e dall'ex ministro Balduzzi, ma alla fine si conclusero con un nulla di fatto. Speriamo questa possa finalmente essere l'occasione buona per riconoscere pari diritti a tutti questi malati.
Altri problemi andranno poi affrontati, come l'irragionevolezza di un federalismo sanitario, per il quale ogni Regione stabilisce propri criteri per la dispensazione dei farmaci o per l'accesso alle cure; d'altra parte proprio in questi giorni un esempio di questa follia nazionale l'abbiamo con i nuovi antivirali per la cura dell'epatite C. Anche i tempi per la commercializzazione dei farmaci orfani restano eccessivamente lunghi, con mesi e mesi spesi solo per concordare modalità di erogazione e prezzo di vendita. Se molto è stato fatto, molto resta ancora da fare, ma alcuni risultati potrebbero essere finalmente a portata di mano.
Sergio Harari
[Fonte Corriere della Sera]