Sono trascorsi poco più di due mesi dai primi casi di infezione da Coronavirus in Cina e oltre dieci giorni dai primi due casi registrati nel nostro Paese, ai quali si è poi aggiunto quello del nostro connazionale rimpatriato. L’infezione al momento è stata sostanzialmente limitata alla Cina e, per gran parte alla regione di Wuhan, i casi in altri continenti sono stati sporadici. Lo sforzo della comunità internazionale per contenere la diffusione grazie all’enorme impiego di misure preventive ha dato sinora i suoi risultati. Quando tutto questo sarà finito, anche se oggi è difficile prevedere quando e dopo quanti morti si concluderà l’infezione, bisognerà non scordarsi subito di questo disastro internazionale e fare, a mente fredda, delle riflessioni utili per il futuro, ma alcuni spunti possono essere formulati già oggi.
La Cina ha risposto all’emergenza con qualche ritardo iniziale, ma con una efficienza che nessun altro Paese al mondo avrebbe mai potuto mettere in campo. La reazione dei ricercatori è stata immediata, l’isolamento del virus è avvenuto molto rapidamente, così come la sua messa a disposizione della comunità scientifica internazionale. Il gigante asiatico è riuscito praticamente a sigillare una città di 11 milioni di abitanti, più di tutta la Lombardia, caratterizzata da una forte economia di scambio, e a costruire in 10 giorni un ospedale da mille posti letto, impiegando settemila operai in turni non stop di 24 ore al giorno, con un lavoro di coordinamento che l’archistar Stefano Boeri ha definito letteralmente straordinario. Ha poi avviato imponenti misure finanziare per gestire i contraccolpi economici sui mercati finanziari. Cosa sarebbe accaduto se l’infezione fosse partita in un paese europeo o americano o, peggio ancora, africano? Saremmo stati capaci in Italia di sigillare e mettere in quarantena una città intera, facendo le dovute proporzioni ad esempio Torino, praticamente militarizzandola e imponendo regole molto vicine alle leggi marziali? Noi, che impieghiamo mesi o anni per costruire case prefabbricate per i terremotati, avremmo avuto la capacità di mettere su in giorni, non anni, un nuovo ospedale? L’immediato isolamento del virus da parte dello Spallanzani, grazie a ricercatrici sostenute più dalla passione e dalla buona volontà che da investimenti di ricerca, è un esempio della mancanza di una seria politica sulle future necessità del nostro Paese, investire oggi in salute e ricerca significa proteggere il nostro domani. I richiami dei rettori delle nostre più prestigiose università, ultimo solo in ordine di tempo Elio Franzini in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Statale di Milano, a investire in formazione e ricerca, sono “gride” di manzoniana memoria che cadono nell’indifferenza generale, mentre solo da poche settimane un ministro si è dimesso per il mancato finanziamento alla pubblica istruzione. Se dobbiamo trarre una prima lezione da questa tragedia tuttora in corso è che dobbiamo avere il coraggio e la forza di sviluppare una seria strategia di investimenti oggi, da subito, nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, che anche in questa occasione si sta dimostrando un caposaldo straordinario del nostro Paese, nei giovani che fanno ricerca, nei finanziamenti alle università. La costituzione di due diversi ministeri distinti, uno per l’Istruzione e l’altro per Ricerca e Università, può essere un primo passo che speriamo faciliti politiche con conseguenti finanziamenti adeguati e continuativi, che però devono arrivare. Da subito.