Un’indagine condotta a giugno 2021 su 5.700 pazienti da Corriere insieme all’associazione Peripato è diventata anche una pubblicazione scientifica. L’impatto sul lavoro. Necessari servizi e controlli ad hoc per monitorare i disturbi

06 Novembre 2021

Il Long Covid, cioè le conseguenze a lungo termine dell’infezione da virus Sars-Cov-2 sono un argomento attualmente allo studio in tutto il mondo. Il Corriere della Sera-Corriere Salute ha voluto dare il suo contributo in questo senso proponendo un sondaggio su Corriere.it. Una sintesi delle risposte arrivate da 5700 lettori viene presentata e discussa a Il Tempo della Salute con Sergio Harari, professore di Medicina interna all’Università degli Studi di Milano e direttore della Pneumologia e Medicina interna all’Ospedale San Giuseppe MultiMedica.

I sintomi del Long Covid
«Si definisce “Long Covid” una condizione in cui ci sono sintomi perduranti nell’organismo per oltre tre mesi dall’infezione da SARS-CoV-2. Questi strascichi a volte sono così severi da impedire alla persona che ne soffre di ritornare a condurre una vita normale - ha spiegato Harari -. Oggi si pensa che il Long Covid possa interessare addirittura il 50% dei pazienti ex Covid. Il sintomo sicuramente più diffuso è la stanchezza, seguito dalla perdita del gusto e dell’olfatto, disturbi del sonno, sintomi neurologici come ansia o stress, palpitazioni e battito irregolare. Un altro sintomo riportato molto frequentemente è la “nebbia mentale”, condizione caratterizzata da problemi di memoria e di concentrazione in aggiunta alla costante sensazione di stanchezza. Per quanto riguarda l’apparato respiratorio i sintomi sono di tipo asmatico, come per tutti i tipi di virus respiratori».
Se cominciamo ad avere qualche dato scientifico che ci aiuta a interpretare l’andamento dei sintomi dei quali soffrono a distanza di tempo i soggetti che sono stati ospedalizzati, quasi nulla si sa di che cosa accade a chi il Covid l’ha gestito a casa propria. Così come sono ancora molte le domande aperte alle quali cercare risposte. Ma soprattutto quello che manca completamente è il polso di quella che è stata la percezione da parte dei pazienti della malattia e dell’assistenza, dell’impatto sociale e finanche familiare che la pandemia ha avuto. Per questo Corriere Salute, con l’Associazione non a scopo di lucro Peripato, ha lanciato un sondaggio per indagare fra i propri lettori questi aspetti.

Il sondaggio di Corriere e Peripato
Il sondaggio online è stato promosso attraverso Corriere.it e i social media del Corriere della Sera nel mese di Giugno 2021. L’accesso era possibile dal sito di Corriere.it e da quello dell’associazione Peripato e hanno risposto circa 5.600 persone, di queste 3.125 sono state ammalate di Covid e hanno risposto alle domande relative alla malattia, al suo decorso, alla guarigione.
Da un confronto statistico con i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) è risultato che il campione valutato rispecchia la popolazione degli ammalati per le principali caratteristiche. «La distribuzione territoriale dei partecipanti è concentrata soprattutto nel Nord Ovest - ha illustrato Harari, che è presidente di Peripato -, così come anche la malattia ha coinvolto soprattutto le regioni di quest’area geografica del Paese. Non si sono registrate particolari prevalenze di genere. L’Iss riporta una età mediana di circa 60 anni nei primi due mesi iniziali dell’epidemia che passa a 49 anni nel mese di novembre 2020. I dati raccolti dalla nostra survey rispecchiano fedelmente la dinamica temporale con una età mediana di 54 anni nella prima ondata che scende a 50 nella seconda e 49 nella terza». L’analisi delle risposte è stata condotta tenendo conto del periodo delle tre ondate: primavera 2020, autunno 2020, primavera 2021.

Differenze fra ricoverati e non
Il 13% dei soggetti che ha avuto la malattia (400 persone rispondenti al sondaggio), è stato curato in ospedale, mentre l’87% (2.725 persone) degli intervistati non è stato ricoverato. Tra gli ospedalizzati prevalgono il sesso maschile e l’età più avanzata. «Le due popolazioni, ospedalizzati e curati a domicilio, non sono simili - ha detto Harari -. Quelli che hanno dovuto ricorrere a un ricovero più frequentemente soffrivano di ipertensione arteriosa, erano obesi, diabetici, cardiopatici. I sintomi che hanno caratterizzato il ricovero in ospedale erano prevalentemente la mancanza di fiato, sia a riposo che sotto sforzo, accompagnata da senso di costrizione toracica. Al contrario, alterazioni di gusto e olfatto (più comuni prima dell’arrivo della variante Delta), dolori muscolari e cefalea, seppure presenti anche tra gli ospedalizzati, costituiscono una caratteristica maggiormente presente tra chi non è stato ricoverato». I sintomi più frequentemente riferiti dagli ammalati nella fase acuta, anche a casa, sono stati la stanchezza, le alterazioni del gusto e dell’olfatto, i dolori muscolari, la tosse e la mancanza di fiato. Ma la frequenza dei vari disturbi è stata molto diversa a seconda del grado di severità della malattia.


I disturbi che perdurano
Agli intervistati è stato chiesto se al momento della compilazione del sondaggio soffrissero ancora di qualcuno dei sintomi che avevano accusato durante la fase acuta e eventualmente di quale. «I risultati sono sorprendenti - ha commentato l’esperto -: complessivamente il 36% ha riferito disturbi della memoria, il 40% difficoltà alla concentrazione, il 30% ansia e depressione, il 74% stanchezza e il 60% mancanza di fiato da sforzo, per limitarsi ai più frequenti. Al momento della compilazione del questionario, a giugno 2021, il 44% dei pazienti che erano stati ricoverati riferiva ancora di soffrire di stanchezza, il 41% lamentava mancanza di fiato sotto sforzo, il 30% affaticabilità muscolare». Tra chi invece era rimasto a casa i disturbi più spesso riportati, in ordine di frequenza, sono stati: stanchezza (30%), mancanza di fiato da sforzo (19%), alterazione dell’olfatto e difficoltà alla concentrazione (16%). Soltanto il 38% degli assistiti a domicilio e il 23% degli ospedalizzati sono risultati totalmente asintomatici a distanza di tempo dal Covid. Molti disturbi sono stati riportati in percentuali minori ma significative, con differenze rilevanti a seconda del setting assistenziale. Il 49% della popolazione seguita a casa e il 66% di quella ricoverata hanno inoltre riferito la comparsa di nuovi sintomi dopo il Covid, dei quali non avevano mai sofferto prima, molto spesso di natura respiratoria ma anche cardiologica, neurologica, gastro-intestinale, psichica con stati di ansia e depressione.


Il respiro migliora con il tempo
L’incidenza della «mancanza di fiato da sforzo» è risultata ridursi con il tempo: circa il 49% di chi si è ammalato nella primavera 2021 ne ha continuato a soffrire fino al momento della compilazione del questionario. Mentre tra chi si era ammalato nella primavera 2020 ne soffriva ancora il 30%. Diversamente, l’alterazione dell’olfatto non sembra essere molto influenzata dal passare del tempo: circa il 25% ne ha continuato a soffrire indipendentemente dal momento nel quale ha contratto la malattia in fase acuta. Per quanto riguarda i disturbi del sonno circa il 45% degli ha iniziato a soffrirne, con una lieve maggior frequenza tra gli ospedalizzati. Gli ammalati ricoverati hanno perso più peso rispetto ai non ospedalizzati. Chi ha superato la malattia guarda con spirito ottimista al proprio benessere futuro: solo il 10-20% è preoccupato o molto preoccupato per la sua salute e, come comprensibile, sono soprattutto quelli che sono stati in ospedale a esserlo maggiormente.


I controlli post- Covid
Una larga fetta della popolazione non ha effettuato controlli significativi dopo la malattia (pochissimi fra quanti sono stati curati a casa), gli esami più frequentemente effettuati sono stati quelli del sangue, particolarmente nei soggetti ospedalizzati. «Colpisce come, malgrado l’infezione da SARS- CoV- 2 abbia come primo organo bersaglio i polmoni e i sintomi più frequentemente riferiti siano stati proprio quelli respiratori, soltanto il 7% dei soggetti abbia effettuato una spirometria, il 14% una radiografia e l’8% una Tac del torace. Oltre un terzo dei ricoverati ha beneficiato di cure riabilitative (36%)» ha precisato Harari.


Impatto sul lavoro e uso di farmaci
Un dato importante riguarda l’uso dei farmaci e le conseguenze sul lavoro dopo l’infezione: «Dopo la malattia il 33% degli ospedalizzati (e il 15% dei non ospedalizzati) ha iniziato nuove terapie farmacologiche, una quota rilevante e che fa riflettere - ha sottolineato l’esperto -. Anche l’impatto sulla vita lavorativa è stato significativo: ha indicato un peggioramento il 52% degli ospedalizzati e il 37% dei non ospedalizzati». La situazione familiare invece ha avuto un andamento molto variabile: tra i ricoverati c’è un 20% che ha dichiarato un peggioramento delle relazioni nel nucleo affettivo, mentre per un 20% è migliorata.

Il giudizio sulle cure: differenze fra ospedale e casa
Molto diversa è la valutazione delle cure e dell’assistenza tra chi è stato ricoverato e chi no. Tra i ricoverati il giudizio sulle cure ospedaliere è eccellente, il 45% ha dato voto 10, e l’86% tra 8 e 10. Mentre l’assistenza a domicilio (utilizzata anche da una parte degli ospedalizzati), per gran parte fornita dai medici di medina generale e in minor misura dalle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), hanno avuto un giudizio più freddo: il voto 10 raggiunge il 23% e i voti tra 8 e 10 coprono il 52%.

Necessari servizi ad hoc per seguire gli ex malati
«L’impatto sul Servizio sanitario nazionale del virus andrà molto ben ponderato - ha concluso Harari -. Il grande pregio di questo sondaggio è stato raccogliere informazioni su un vasto numero di persone curate a casa, dati che finora non sono ancora disponibili in maniera strutturata e che si sono rivelati utili alla comunità scientifica, tanto che sono stati pubblicati sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine. Certo è che serviranno servizi medici dedicati per seguire le persone con Long Covid nel tempo: alcuni ambulatori sono stati già organizzati e una delibera di Regione Lombardia dei giorni scorsi va proprio in questo senso. E’ infatti necessario un controllo a distanza di tempo per capire cosa succede, perché se non ci aspettiamo effetti a lungo termine dalla vaccinazione (i cui effetti avversi, quando si verificano, avvengono nell’immediato, come insegna la storia di tutte le vaccinazioni), non sappiamo invece cosa succederà agli ex malati: un’infiammazione che perdura non è mai un buon segno. E l’aumentato consumo di farmaci da parte di molti partecipanti all’indagine indica che potremmo trovarci di fronte a una crescita di patologie, ad esempio cardiovascolari o endicronologiche».

Corriere della Sera