Mai come in queste settimane la parola "polmonite" è stata tanto gettonata. Del resto, la firma del perfido coronavirus che ha messo il pianeta a soqquadro è proprio quella: i sintomi dell'infezione sono analoghi a una comune influenza (il che complica non poco le cose in questo periodo dell'anno che da noi coincide col picco della sindrome influenzale); ma certe volte i problemi respiratori possono complicarsi e sfociare in una polmonite severa. Stando ai casi registrati finora, in questa frenetica giostra di notizie concitate, conforta comunque il fatto che il nuovo agente virale parrebbe risultare meno letale rispetto alla Sars, che impazzò tra il 2002 e il 2003. Ma sicuramente si sta dimostrando in grado di aggredire l'albero respiratorio di un maggior numero di individui. Ci mancava pure questo dannato virus a insidiare la salute dei polmoni: non bastavano gli altri comuni microrganismi (come lo pneumococco, la Chlamidia pneumoniae, l'Haemophilus influenzae e la Legionella pneumophila che si acquatta nei condizionatori), non bastava l'inquinamento atmosferico con le sue polveri sottili, non bastava il summer smog, quel cocktail di inquinanti che in presenza del sole estivo e delle temperature elevate ingolfa la nostra respirazione...
«Soltanto nel nostro Paese ogni anno vengono ricoverate per colpa della polmonite quasi 150 mila persone, ci dice Sergio Harari, che a Milano dirige le unità operative di medicina interna e pneumologia all'Ospedale San Giuseppe MultiMedica ed è anche professore di clinica medica all'Università degli Studi. «La buona notizia è che nella stragrandissima maggioranza dei pazienti la malattia si risolve alla perfezione e che la mortalità per polmoniti, negli ultimi 50 anni, è crollata drasticamente in tutto il globo. Però attenzione: non s'è mai azzerata.
Un certo numero di soggetti, purtroppo, può ancora soccombere a queste forme infettive. Di certo, la maggiore diffusione delle polmoniti è favorita dall'aumento dell'età media della popolazione, dalla presenza di una malattia cronica-degenerativa ma anche dai trattamenti immunosoppressivi,a base di cortisone per esempio, condizioni che abbassano le nostre difese immunitarie e facilitano l'attecchimento dei germi patogeni».
La polmonite è alquanto infida: non rispetta mai un copione standard. «È vero: può mostrare un decorso assai variabile», dice Harari, che siamo andati a trovare nella sua roccaforte milanese. «Potrebbe rivelarsi fulminante, come accade per esempio nelle polmoniti da Legionella che sono patologie piuttosto aggressive, oppure colpire in maniera lieve. Di conseguenza, anche i sintomi possono essere molto diversi».
I più comuni? «Febbre, tosse secca o con catarro, mancanza di fiato, brividi,stanchezza, malessere generale. Ma non è che siano tutti presenti allo stesso tempo». Una polmonite viene gestita, con le cure del caso, per lo più a domicilio. Soltanto le situazioni più impegnative, ci spiega Harari, vengono ospedalizzate. «Nei quadri gravi, infatti, può scendere in campo il sistema. Ecmo, l'ossigenazione extracorporea a membrana, una tecnica che sostiene le funzioni vitali incrementando l'ossigenazione del sangue». Contro i misfatti del coronavirus 2019-nCoV al momento non esistono trattamenti specifici: se ne esce con le terapie di supporto. Ebbene, uno di questi ausili, quando l'insufficienza polmonare dovesse farsi critica, è proprio l'ossigenazione extracorporea, una risorsa tecnologica di cui l'Italia fortunatamente è bene attrezzata. Il nostro Paese vanta anche un primato: è una delle nazioni europee con la mortalità più contenuta per polmoniti in generale. Ogni anno si registrano 9 mila decessi. «Un dato tra i più bassi d'Europa, sì, ma ancora drammatico», aggiunge il professore. «Ecco perché di fronte a una qualunque polmonite non si pensi che qualche pillola di antibiotico sia sufficiente ad archiviare tutto. Stiamo parlando di una patologia da affrontare con la massima cautela e le cui complicanze, sempre dietro l'angolo, possono essere molto difficili da governare». In altre parole, non basta che la febbre sparisca per dichiararsi guariti. Durante i trattamenti (con cicli di antibiotici che vanno in genere dai sette ai dieci giorni) evitiamo di fare i supereroi: il riposo a casa prolungato è parte integrante della terapia. Lo pneumologo conferma: «Di polmonite si guarisce, di solito pienamente e senza "cicatrici", ma un periodo di astensione lavorativa e di convalescenza è indispensabile per tornare in forma come prima. Una polmonite che si complica con un'infezione della pleura può richiedere un intervento chirurgico e parecchie settimane per guarire. E poi non dimenticatelo: ci sono vaccini contro certe tipologie di polmonite, come quello anti-pneumococcico e contro l'Haemophilus influenzae B, che sono capaci di arginare la letalità della patologia, in particolare nelle fasce a rischio della popolazione, come nei bambini e negli ultrasessantacinquenni».
E visto che sono molteplici i microbi col potere di appiccare un incendio nel tessuto polmonare, dai batteri ai funghi fino al coronavirus cinese, tuteliamoci dai contagi: «Lavatevi bene le mani con regolarità». Verità semplice ma preziosissima, poiché l'ultima notizia sul bieco coronavirus riferisce che può restare infettante sulle superfici degli oggetti a temperatura ambiente fino a nove giorni, però in compenso non è molto resistente. Per cui bastano i gel disinfettanti a base di alcol per ucciderlo. Anche così si salvano i polmoni. E freniamo la pandemia.
Dal settimanale GENTE _ Intervista di Edoardo Rosati, foto Dante Valenza